Un futuro guidato dai dati: moda, tecnologia e intelligenza artificiale attraverso gli occhi di Layla Pavone

Oggi siamo con la Prof.ssa Layla Pavone, esperta di innovazione tecnologica e trasformazione digitale. In questa intervista, parleremo dell’impatto dell’intelligenza artificiale sul marketing e sulla moda, delle opportunità per le start-up, e delle sfide etiche legate all’uso dell’AI. Inoltre, approfondiremo le iniziative che la Prof.ssa Pavone sta portando avanti a Milano per promuovere una trasformazione digitale sostenibile e inclusiva.

Potresti raccontarci qualcosa di te e del tuo percorso lavorativo? Cosa ti ha portato a diventare una figura di riferimento nell’innovazione tecnologica e nella trasformazione digitale, specialmente in un contesto come Milano?

Si, certo. La mia carriera nel digitale ha avuto inizio nei primi anni ’90, un periodo entusiasmante in cui l’Italia faceva i primi passi nell’era di Internet. Nel 1994, sono stata tra i membri fondatori del team di Nicky Grauso, che ha lanciato il primo Internet Service Provider in Italia. Questo mi ha offerto una posizione privilegiata per osservare e partecipare alla nascita e all’evoluzione del digitale nel nostro paese.

La mia formazione accademica ha giocato un ruolo fondamentale in questo viaggio. Mi sono laureata in scienze politiche e ho completato un master in comunicazione d’impresa e nuove tecnologie nel 1988, un corso che si è rivelato sorprendentemente avanti per i suoi tempi, anticipando concetti e strumenti che sarebbero diventati centrali nel mondo digitale, come il desktop publishing.

La mia carriera è stata caratterizzata dalla fortuna di essere al posto giusto nel momento giusto. Ho avuto il privilegio di lavorare a stretto contatto con pionieri del settore tecnologico maturando esperienze che hanno arricchito il mio bagaglio professionale e personale. Nel corso degli anni, ho ricoperto diversi ruoli di rilievo, tra cui quello di amministratore delegato in una multinazionale di comunicazione, dove il mio compito principale era sviluppare il business digitale, a partire dall’advertising online, che rappresentava allora un territorio in gran parte inesplorato.

La mia passione per l’innovazione mi ha portato a esplorare oltre i confini del marketing e dell’advertising. Circa quindici anni fa, sono entrata a far parte di un incubatore di start-up, un’esperienza che ha ampliato ulteriormente le mie prospettive, permettendomi di immergermi in vari settori dell’innovazione, dalla sostenibilità all’agritech e oltre. Questa fase della mia carriera mi ha permesso di contribuire non solo a livello aziendale, ma anche a livello di politiche e strategie per l’innovazione tecnologica a livello nazionale e internazionale.

Oggi, il mio impegno è focalizzato su Milano, dove coordino il Board Innovazione Tecnologica e Trasformazione Digitale del Comune. Questa esperienza è particolarmente gratificante perché mi permette di lavorare su progetti di trasformazione che vanno oltre il semplice ambito tecnologico, toccando il sociale e l’innovazione nei servizi pubblici. Ad esempio, stiamo lavorando su piattaforme che facilitano l’interazione tra cittadini e amministrazione, con l’obiettivo di rendere Milano una smart city a tutti gli effetti.

 

Potresti approfondire il tuo punto di vista sull’intelligenza artificiale, in particolare nel settore del marketing e della pubblicità? Hai esperienze con start-up o prodotti che utilizzano l’AI in questo ambito?

Il settore dell’advertising è stato tra i primi a utilizzare l’intelligenza artificiale. Oggi se ne parla tantissimo perché è un tema attuale e di grande interesse, ma in realtà l’AI viene impiegata da molti anni, basti pensare ad Amazon, che già molto tempo fa ha cominciato a inviare ai propri clienti raccomandazioni per nuovi prodotti. Quello è un esempio classico di AI applicata al marketing.

Un altro esempio significativo risale a circa 15 anni fa, con l’introduzione del programmatic advertising, un’innovazione tecnologica che ha cambiato radicalmente il modo in cui si comprano e vendono spazi pubblicitari online. Il programmatic ha permesso di regolare la domanda e l’offerta di spazi pubblicitari attraverso piattaforme che utilizzano l’intelligenza artificiale per gestire l’intero processo, rendendo le previsioni sui comportamenti degli utenti molto più accurate. Questo ha reso l’advertising online uno dei primi settori in cui l’AI è stata sperimentata e utilizzata su larga scala.

Oggi, quasi tutto ciò che l’advertising online è in grado di fare – dai profili lookalike alla segmentazione degli utenti – è possibile grazie all’intelligenza artificiale. Ciò nonostante, siamo ancora agli inizi per quanto riguarda il pieno utilizzo del suo potenziale. L’ultima frontiera in questo campo è la possibilità di personalizzare al massimo l’esperienza pubblicitaria e instaurare una relazione diretta tra il consumatore e il brand. L’intelligenza artificiale sarebbe in grado di riconoscere le abitudini di consumo degli utenti e di stabilire una vera e propria interazione, anche grazie all’uso di avatar o di altre tecnologie interattive.

Un esempio di questa tendenza è rappresentato da Watson di IBM, che qualche anno fa ha iniziato a sperimentare in questo ambito. Tuttavia, nonostante il grande potenziale di queste tecnologie, non abbiamo ancora assistito a un vero e proprio boom, probabilmente a causa dei costi ancora molto elevati. L’efficacia e l’efficienza sono elementi chiave nel settore pubblicitario, e le tecnologie basate sull’intelligenza artificiale richiedono investimenti significativi per essere implementate su larga scala.

 

So che non ti occupi direttamente di moda, ma hai delle osservazioni sull’applicazione dell’intelligenza artificiale in questo settore? Magari hai avuto esperienze con start-up o progetti legati al mondo della moda?

È vero, non sono un’esperta di moda e non lavoro direttamente in questo settore. Tuttavia, grazie ai miei contatti e alle mie relazioni, sono a conoscenza di ciò che si sta facendo, soprattutto nel mondo accademico legato alla moda. Un esempio significativo è rappresentato dall’Istituto Marangoni e da altre scuole simili, molte delle quali hanno sede a Milano, dove la moda è un tema centrale.

In questo contesto, l’intelligenza artificiale ha già un’ampia applicazione, specialmente per i nuovi designer. Le tecnologie AI vengono utilizzate per sviluppare nuovi materiali e per creare metaversi, offrendo così uno spazio di espressione più libero e innovativo. Inoltre, queste tecnologie permettono di coinvolgere nuovi target che, altrimenti, sarebbe molto difficile raggiungere con i mezzi tradizionali.

Ritengo che la moda più avanzata e sperimentale stia già sfruttando le potenzialità dell’intelligenza artificiale. Sarebbe auspicabile che queste innovazioni venissero adottate anche dai grandi brand, anche se, come sempre, si tratta di una questione di business. Quanto più i brand riconosceranno i vantaggi dell’AI, tanto più vedremo queste tecnologie applicate su larga scala. L’intelligenza artificiale, sia nella sua forma generativa che in quella di machine learning, può avere un impatto significativo nell’industria della moda, non solo a livello creativo, ma anche industriale.

Nel settore della moda, il machine learning può migliorare l’efficienza dei processi produttivi, oltre a creare nuove opportunità di business e modelli innovativi. Se ci spostiamo sul fronte del marketing, l’AI offre possibilità straordinarie per quanto riguarda la creazione di contenuti, lo storytelling e l’uso di immagini, elementi cruciali per i brand di moda. Le opportunità sono davvero senza precedenti, e tutto ciò rappresenta una delle rivoluzioni più grandi dai tempi dell’avvento di Internet, circa trent’anni fa.

 

Guardando al mondo delle start-up, abbiamo assistito negli ultimi anni a una sorta di rinascita della Silicon Valley, probabilmente alimentata anche dalla crescente attenzione verso l’intelligenza artificiale. Quali settori stanno prevalendo nel panorama delle start-up e come riconoscete voi le start-up veramente valide, distinguendole da quelle che seguono semplicemente la moda del momento?

Dal mio punto di vista, stiamo assistendo a una fase di reiterazione, per così dire. Dopo l’euforia iniziale che ha investito la Silicon Valley e il mondo delle start-up in generale, sembra che sia venuto il momento di una maggiore riflessione. Nel settore del digitale, specialmente nel marketing digitale, abbiamo visto esplodere una vera e propria bolla. Oggi è difficile trovare una vera innovazione in questo campo, perché molte delle grandi scoperte sono già state fatte.

Tuttavia, la situazione è diversa in altri settori, dove l’intelligenza artificiale sta davvero facendo la differenza. Un esempio è il biotech, dove l’AI sta portando a innovazioni significative, così come nel settore della moda, in particolare con l’uso di nuovi materiali. Questi sono settori che offrono grandi opportunità di crescita e dove le start-up possono effettivamente portare valore aggiunto.

Personalmente, ho la fortuna di poter spaziare tra vari settori, e vedo che anche il fintech e l’insurtech stanno beneficiando enormemente dall’introduzione dell’intelligenza artificiale. L’AI consente di effettuare calcoli complessi in tempi ridotti e a costi molto inferiori rispetto a quanto fosse possibile in passato, aprendo così nuove strade all’innovazione.

Un altro ambito che trovo particolarmente interessante è quello della salute e delle scienze della vita, soprattutto per quanto riguarda la farmaceutica e il biotech. Penso, per esempio, all’utilizzo dell’intelligenza artificiale per analizzare molecole e sviluppare nuovi farmaci, o per fare previsioni sulle malattie neurologiche, come l’Alzheimer. Ho personalmente investito in una start-up che sta lavorando proprio su questo: cercare una molecola che possa prevenire l’Alzheimer.

Per quanto riguarda il marketing e l’advertising, invece, credo che abbiamo già visto gran parte delle innovazioni possibili. È un settore che non è ancora del tutto maturo, nonostante tutti i progressi fatti. Quando navighiamo online, notiamo ancora modelli pubblicitari che sembrano datati, come i pop-up o i banner pubblicitari molto basici, che non sfruttano appieno le potenzialità dell’intelligenza artificiale. C’è quindi una certa dicotomia tra le tecnologie innovative che le start-up stanno sviluppando e quanto effettivamente l’industria le stia adottando.

 

Vorrei chiederti un’opinione su un tema che ritengo centrale: l’etica nell’intelligenza artificiale. Quali passi concreti state facendo a Milano per sensibilizzare la cittadinanza su questo tema, e come state affrontando le questioni legate a copyright, etica e gestione dei problemi che l’AI generativa solleva?

A Milano stiamo lavorando su due direttrici principali all’interno del piano strategico del comune. La prima è un’innovazione spinta, basata su progetti come il Gemello Digitale (Digital Twin) e l’ecosistema digitale urbano. L’obiettivo è trasformare Milano in una città guidata dai dati, una data-driven city, superando il concetto di smart city. L’idea è di mettere a sistema i dati disponibili per creare nuove opportunità di business e migliorare i servizi ai cittadini. Per esempio, abbiamo un portale di open data con circa duemila dataset a disposizione, che le aziende possono utilizzare per sviluppare soluzioni innovative. Ma il nostro vero obiettivo è creare un ecosistema digitale urbano, dove anche aziende private, come le telecomunicazioni e le utility, possano condividere una parte dei loro dati per contribuire al bene comune.

Un esempio concreto è la mappatura digitale completa della città di Milano, realizzata con una precisione elevatissima, al punto che siamo in grado di monitorare dettagli come un singolo sanpietrino. Attraverso questo sistema, possiamo controllare in tempo reale lo stato di varie infrastrutture urbane, come i dehors, la mobilità, l’energia e la gestione dei rifiuti. Questo progetto ci offre infinite possibilità per rendere la città più efficiente e sostenibile.

L’altra direttrice su cui stiamo lavorando è quella di coinvolgere i cittadini, non solo rendendoli partecipi, ma soprattutto consapevoli di cosa significhi vivere in una città digitale. Il grande divario che vedo oggi è che, sebbene tutti siano connessi e utilizzino i social media, manca una comprensione profonda di cosa significhi essere cittadini digitali. Molti addetti ai lavori tendono ad essere autoreferenziali, pensando che la popolazione sia già al corrente di tutto ciò che riguarda il digitale, solo perché è connessa. Ma non è così: non c’è ancora una consapevolezza diffusa su temi cruciali come l’etica, la responsabilità e la trasparenza, che sono fondamentali quando parliamo di intelligenza artificiale.

Da parte dell’amministrazione di Milano, ci stiamo impegnando molto nella divulgazione e nella formazione. Organizziamo incontri nei quartieri, ma utilizziamo anche strumenti online per coinvolgere i cittadini, spesso in collaborazione con aziende private che mettono a disposizione il loro know-how gratuitamente. La logica della partnership pubblico-privato è una realtà a Milano, e lavoriamo moltissimo con le aziende per educare la cittadinanza su temi come la cyber security e l’importanza di essere cittadini digitali consapevoli.

Una delle principali preoccupazioni che ho è legata al rischio che l’intelligenza artificiale, se non compresa e gestita correttamente, possa portare nelle case delle persone problemi di cui forse non sono ancora consapevoli. Basta guardare cosa è successo nel mondo della politica, soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito, per capire quanto l’AI possa essere pericolosa se mal utilizzata. Questo è un tema su cui cerco costantemente di attirare l’attenzione, perché non si può pensare di risolvere queste questioni con un singolo corso di formazione. È un processo continuo e strutturato, che richiede un approccio simile a quello della pubblicità, con messaggi ripetuti che entrano nella mente delle persone e le aiutano a comprendere l’importanza di questi temi.

Stiamo anche lavorando per coinvolgere direttamente i cittadini nella progettazione dei servizi digitali. Abbiamo una piattaforma chiamata “Milano Partecipa”, dove i cittadini possono collaborare con l’amministrazione attraverso workshop di co-design. Questo ci aiuta a costruire servizi che siano davvero utili e pertinenti per le persone, coinvolgendole nel processo decisionale. In futuro, stiamo anche pensando di adottare un registro elettronico degli algoritmi, dove pubblicheremo gli algoritmi che utilizziamo e spiegheremo come vengono impiegati e quali impatti hanno sulla cittadinanza. Questo è un esempio concreto di come vogliamo garantire trasparenza ed etica nell’uso dell’intelligenza artificiale.

Il nostro obiettivo è una “AI for good”, come la chiamano le Nazioni Unite. Ma per raggiungere questo risultato in una società democratica, dobbiamo portare tutti i cittadini a bordo e assicurarci che comprendano pienamente l’impatto dell’intelligenza artificiale sulle loro vite. Solo così possiamo evitare un divario digitale che potrebbe trasformarsi in un divario ancora più ampio legato all’AI, con conseguenze politiche e sociali potenzialmente molto gravi.

 

Francesco Cerisano (2001), designer e creatore di Aracne, è appassionato di tecnologia e intelligenza artificiale. Laureato in Design e Comunicazione all'ISIA di Firenze, dal 2021 si dedica allo sviluppo di progetti AI nell'arte e nella produzione, con focus su fashion e visual design. È anche VJ e DJ nella scena underground e condivide le sue ricerche su un blog dedicato all'innovazione tecnologica